domenica 25 marzo 2012

Benvenuti al sud

Una finale. Una partita il cui valore prescindeva dalle impellenze legate alla disastrosa posizione in classifica. Il match per regolare i conti, anche oltre i limiti della legalità, con chi aveva fatto della propaganda anti-meridionale e degli insulti razzisti il proprio pane quotidiano. E' stato un po' questo il succo dell'estenuante attesa dei tifosi nocerini per la partita contro il Verona, ribattezzata da molti come la più importante uscita stagionale. Più che alle gesta in campo, tra l'altro inaspettatamente positive (la Nocerina ottiene un 3-1 che la rimette in corsa per la salvezza), i tifosi nocerini sembravano concentrare la propria attenzione nella ferocia e nella violenza con cui, a fine partita, hanno dato sfogo al proprio smisurato odio nei confronti dell'Hellas, nel più delicato ed atteso incontro che si è tenuto negli spazi adiacenti al S.Francesco d'Assisi.  Risultato? Scontri, aggressioni per i pullman e le automobili dei tifosi ospiti, la clamorosa apparizione dello "striscione della discordia" rubato ai tifosi veneti nella gara di andata. E poi? Ancora insulti, ancora "terroni" e deprecabili epiteti rivolti a tutta la variopinta popolazione che occupa il territorio da Roma a Lampedusa. Alcuni di essi, pronunciati senza troppe restrizioni e problemi nel forum ufficiale della società, in cui si ravvisa una preoccupante coralità della tifoseria scaligera nell'odio per i meridionali. Un ostracismo nato essenzialmente con gli spot mediatici che hanno scandito la rivalità tra Salernitana e Verona, culminati con il tanto discusso coro "Ti amo terrone" intonato da Mandorlini e poi da tutta la tifoseria. E' così che nasce il livore reciproco, che paradossalmente ha svolto per certi versi una funzione conciliatoria per le tifoserie meridionali: il comune nemico veronese ha infatti, seppur nell'ambito della sfida contro gli scaligeri, liquefatto rivalità anche molto aspre ed accese.
Molti dei tifosi nocerini si sono quindi arroccati nella comoda posizione di martiri per dare sfogo alla propria indole facinorosa, dando quindi ai veronesi il motivo per ripetere ciclicamente (e suffragare) le manifestazioni di astio. Ma da dove nasce esattamente la stigmatizzazione dei meridionali che accomuna molte delle genti del "ricco nord-est"? Non di certo da una partita di calcio, anzi, è talmente radicata e convinta che nemmeno i simpatici antidoti cinematografici hanno potuto smuoverla. Non bastò "benvenuti al Sud" così come non è bastata la ben più genuina rappresentazione ironica del bambino campano, che aveva, invano, offerto a Mandorlini una maglietta con l'analoga scritta. L'ex allenatore del Cluj ha infatti preferito alzare il livello del proprio carisma presso i supporters veronesi, piuttosto che stroncare, seppur solo idealmente, una così seria faccenda accettando il simpatico gesto del ragazzino. E se nemmeno i protagonisti, i leader effettivi di questo confronto, decidono di alzare bandiera bianca e aborrire le questioni extra-calcistiche per concentrarsi unicamente sul proprio lavoro, beh, allora è vero che siamo solo all'inizio. 

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lunedì 19 marzo 2012

Buoni sì, ma fessi no

Lamentarsi per i torti arbitrali è ormai una prassi consolidata in Italia, e paradossalmente riscuote più successo proprio tra chi ha dominato la scena calcistica dell’ultima decada, e non sempre con metodi consoni, come l’inchiesta Calciopoli ha rilevato da qualche anno a questa parte. E’ la modalità, tipicamente italiana, di vivere il calcio, lanciandosi alla confusa ricerca di un capro espiatorio per spiegare sconfitte e fallimenti. Gli ultimi avvenimenti hanno tremendamente galvanizzato questa pratica tant’è che ultimamente le scelte arbitrali dominano solennemente i media sportivi. I principali paladini del vittimismo legato ai torti arbitrali sono sempre gli stessi, mentre la voce dei meno protetti e numerosi resta fioca, si svigorisce.

E’ il caso della Sampdoria, squadra che non ha mai prediletto particolarmente l’ostentazione mediatica in merito, ma anzi ha saputo, almeno in materia di torti arbitrali, conservare elegantemente la propria signorilità. Di fronte alle disfatte e alle sconfitte, il mea culpa è sempre stato chiesto ai protagonisti diretti (giocatori, allenatori e società) e quasi mai sono state scomodate autorità esterne. Quando però le angherie perpetrate si proliferano, nemmeno la splendida diversità che contraddistingue la Sampdoria nel tenebroso panorama calcistico italiano può resisterne: e allora sì, a quel punto, protestare e farsi sentire diventa inevitabile.

E’ stata la clamorosa svista di Nasca, che ha ignorato il tackle subìto da Eder, nel corso del secondo tempo del match contro l’Ascoli, la goccia a far traboccare il vaso blucerchiato, ormai saturo di rigori non concessi e altre ingiustizie. Quello del direttore di gara barese è stato solo l’ultimo dei numerosi episodi sfavorevoli che hanno coinvolto la Sampdoria nella stagione corrente. Evidente proprio come il volo del portiere Pomini che frana malamente su Pellè, non punito ma anzi difeso dal fischio dell’arbitro Ciampi, che castiga l’attaccante salentino.

Dopo così tanti errori, i tifosi della Sampdoria non vogliono supinamente unirsi al coro scriteriato dell’ostracismo nei confronti della classe arbitrale, bensì esigono rispetto e trasparenza nelle scelte, ben consapevoli del rischio che la signorilità e l’indifferenza a riguardo possano, in un simile clima, essere travisati come una rassegnazione passiva di fronte alle vessazioni subite. Buoni si, ma fessi no.


LIVE- Adesso Muamba rischia danni cerebrali

Nulla di nuovo. Fabrice Muamba è ancora stabile in terapia intensiva e adesso subentra una preoccupazione supplementare riguardo al suo stato di salute: emerge infatti che il suo cuore sia stato fermo per ben 2 ore prima di tornare a battere al London Chest Hospital, dov'era stato prontamente portato dopo ripetuti ma vani tentativi di rianimazione da parte dello staff medico di Tottenham e Bolton. La paura è che, nel caso dovesse farcela, Muamba debba fare i conti con gravi danni cerebrali. Nel frattempo, persiste l'intenso plesso di speranza, cordoglio e solidarietà per Muamba e la sua famiglia, da ogni angolo dello sterminato mondo del calcio. Da Tim a Gary Cahill (che contro il Leicester ha esultato mostrando la scritta "Pray For Muamba", ormai divenuto hashtag popolarissimo su Twetter), da Hoyte a Wilshere, passando per Redknapp, Defoe, Van Persie, Al Habsi, Walker, Rooney e molti altri ancora. Tutti fanno il tifo per il roccioso mediano inglese che adesso deve fare il più importante dei fatidici tackle su cui ha costruito la sua carriera. Quello alla morte.

Restate collegati per ulteriori aggiornamenti, sperando, ovviamente, che siano positivi.



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sabato 17 marzo 2012

Europa Coast-to-Coast (pubblicato per Buccino Domani)

Erano in cinque, dicevano di esser partiti da Nizza, in tasca poco o niente, nelle valigie (anzi, carrelli) il necessario, ma il cuore no, quello era colmo di speranza e fiducia. E' "March To Athens" il nome della folle esperienza on-the-road che questi cinque ragazzi hanno condiviso, quasi per caso, con gli studenti del Liceo di Buccino, in una delle innumerevoli tappe che li separano da Bari e dalla tanto agognata nave verso Atene. Condividere le proprie idee ed ampliare il raggio di una risonanza in realtà piuttosto esigua è sembrata loro cosa logica, ecco perché nessuno di loro ha esitato a dire sì all'avvincente proposta di confrontarsi con coloro che rappresentano l'ago della bilancia della riuscita dei loro aneliti anarchici, i giovani. L'approccio però, non è stato dei migliori: l'impressione era quella di trovarsi di fronte cinque beoni malvestiti e maleodoranti, con poco più da offrire di una considerevole scorta di tabacco e cartine. E' bastato aprire bocca a Massimiliano per stroncare quel così fastidioso incantesimo. Un altro ne stava per iniziare: tutti sembravano ammaliati ed affascinati dal tono sognante con cui Massimiliano, un siciliano doc, illustrava le connotazioni del tanto chiacchierato movimento degli indignados. Tra gli imbarazzi iniziali e il timore di prendere la parola nel momento in cui il fatidico "adesso spazio alle domande" sentenziato da Massimiliano inaugurò il dibattito, iniziò la tanto controversa quanto interessante iniziativa che aveva mandato su tutte le furie i professori, che solo dopo serrate trattative avevano dato il placet. Cosa spinge cinque giovani a lasciare tutto, ad abiurare i piaceri e le comodità per affacciarsi a un'avventura del tutto nuova, scevra o quasi di certezze e tutta da scoprire, nel bene e nel male? E' questa la fondamentale domanda che rimbombava nei cervelli di ognuno degli alunni mentalmente coinvolti nel dibattito nonché il nocciolo su cui si è strutturato il leit motiv di quella che Massimiliano ha ribattezzato agorà. E' apparso chiaro che i cinque, per quanto determinati, non facessero esattamente del cinismo e della concretezza i cardini della propria filosofia di vita, bensì fossero interessati a toccare più la sfera morale e personale di quella squisitamente politica con il loro eccentrico modus operandi. Parlavano di decadenza dei costumi e dei valori, di una rivoluzione, tassativamente pacifica, da realizzarsi a livello sociale e morale prima ancora che politico per cancellare i dannosissimi effetti del doloroso processo politico che ha depauperato l'Europa del sistema democratico e ringalluzzito la classe bancaria. Propositi ammirevoli, così come la scelta di incanalare il proprio feng shui sostanzialmente nel sostegno morale del popolo greco e nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica europea. Una presa di posizione nobile ma troppo vaga nella sua iconoclastia per potersi esentare dal definirla "lotta contro i mulini a vento". La scelta della destinazione è però tremendamente in linea con quanto i 5 ragazzi sono abilmente riusciti a trasmettere: Atene, città politicamente ed economicamente in ginocchio nonché patria di quella cultura e di quei valori calpestati dagli interessi economici e dalla brama materialistica, è lo scenario dove il passaggio di consegne s'è realizzato idealmente. Ci arriveranno solo dopo essere approdati a Bari, dove contano di giungere a fine marzo, in un percorso scandito da una serie di tappe da raggiungere rigorosamente a piedi. Molto probabilmente non passeranno alla storia né riusciranno a contribuire concretamente per quello che in Grecia sta assumendo le proporzioni di un autentico dramma, ma hanno dato una conformazione decisa alle proprie idee dimostrando che il proprio raggio d'azione può andare aldilà delle chiacchiere da bar o delle asfittiche frasi fatte del web tipiche del terzo millennio. Gli scroscianti applausi del finale sono stati la giusta gratificazione alla notevole performance dialettica che anche ragazzi francesi e spagnoli sono riusciti straordinariamente a sostenere, esibendo un italiano tutt'altro che banale. In quegli applausi c'era anche una sincera ammirazione, un pizzico di invidia per il fascino del viaggiare e dell'agire insieme per una giusta causa, soddisfazioni che nessuna auto nuova o computer ultra-tecnologico potrebbero mai regalare.

sabato 10 marzo 2012

Poco balsamica la Samp, ma il pareggio non è da buttare

Non è un altro scialbo 0-0. Anzi, la partita ha saputo regalare delle emozioni nonostante Romero e Pominiabbiano saputo mantenere, senza troppi problemi, il clean sheet. Ma probabilmente la partita non è valsa lo stesso l’attesa, spasmodica, con cui il pubblico doriano aveva pregustato questo match, battezzandolo, giustamente, come l’imprescindibile crocevia da cui il “sogno” Playoff doveva passare. Ed è già una gioia, indipendentemente dal risultato, commentare una partita vissuta con l’entusiasmo e le speranze di una volta.


Dopo il pareggio a reti bianche ottenuto al Braglia di Modena, la Sampdoria non pare aver ancora imboccato una strada decisiva nel bivio tra la fruibilità dell’opportunità dei Playoff e il mesto ripudio delle speranze di gloria, ma ha fatto comunque timidi passi avanti rosicchiando un punto sul Varese, clamorosamente caduto in casa contro l’Empoli. Oggi la Sampdoria ha replicato, seppur in maniera meno consistente, i progressi avuti da un po’ di tempo a questa parte, anche se puntualmente incombeva l’orrido timore di subire reti, tipico dei match di trasferta, ogni qualvolta il Sassuolo prendeva coraggio e si affacciava dalle parti di Romero. Non trascurabile è indubbiamente il peso specifico dell’assenza di Obiang che ha naturalmente privato il centrocampo del proprio leader emotivo e tattico, costretto a sorreggersi sull’inedito duo Munari-Renan, scarsamente complementare e infatti poco incisivo. L’inizio è stato sempre lo stesso: alacri e scattanti, i blucerchiati hanno però dato, ancora una volta, l’impressione di essersi giocate tutte le cartucce prematuramente, calando nettamente d’intensità col passare dei minuti. In particolare, la Samp sembrava accusare la scarsa incisione di Eder nel possesso palla e l’eccessiva discontinuità che caratterizzava le giocate di Foggia, poi sostituito da un Juan Antonio tecnicamente più laconico del solito.

Il secondo tempo inizia con la criptica sostituzione che ha portato in campo il prestante ma macchinoso Pellè al posto di un Eder che iniziava a galvanizzarsi e a spaventare Pomini. Il diktat “palla lunga e pedalare” che ha, per mesi, dominato la scena blucerchiata ha così colto la sua consacrazione con l’innesto dell’ex Cesena, il quale, pur riuscendo nella maggior parte dei casi a prevalere fisicamente e ad ottenere il pallone, faticava a ridurre i tempi delle sue giocate, finendo molto spesso col regalare palla agli avversari. L’estroso Boakye, che avrebbe pagato più di un euro per fare un gol alla Sampdoria ed entrare nelle grazie dei tifosi genoani (avendo appunto cartellino rossoblù), sfiora la rete del vantaggio, così come pochi minuti prima aveva fatto Sansone. Il finale, comunque, si tinge di blucerchiato con un arrembante ma asfittico forcing, concluso dal triplice fischio di un imperfetto Ciampi. Il pareggio non era probabilmente l’esatto epilogo con cui le migliaia di doriani pervenuti a Modena speravano finisse il match, ma conserva comunque la propria utilità in vista della sconfitta interna del Varese, che mantiene vive le speranze dei blucerchiati. Speranze che non possiamo permetterci di abbandonare, ma che anzi dobbiamo coltivare assiduamente finchè l’aritmetica lo permette.

giovedì 8 marzo 2012

Bielsa ingabbia lo United: è clamoroso l'epilogo dell'Old Trafford

La demenza senile sembrava l'unica ragione plausibile per spiegarsi il secco "no" con cui quest'estate Bielsa rifiutò la faraonica proposta di Moratti all'Inter. Aveva vinto tanto, raggiunto obiettivi inesplicabili e il declino, si sa, arriva per tutti, anche per i più grandi. E invece Marcelo al viale del tramonto proprio non ci pensava e anzi continuava a lavorare sotto traccia, questa volta a un nuovo affascinante progetto, a Bilbao con l'Athletic Club, serafico e tenace nel non lasciare nulla al caso e provare a scrivere la storia anche con il club basco. Adesso, a distanza di 8 mesi, l'affare pare averlo fatto lui, vedendo i guai patiti a Corso Vittorio Emanuele e le straordinarie imprese che i ragazzi baschi stanno conseguendo. L'ultima e più importante di una stagione già pienamente soddisfacente non solo per l'ottimo cammino in Europa League ma anche per il prodigioso quinto (leggasi terzo, le prime due giocano in un'altra galassia) posto occupato sin ora in Liga, è quella raccontata stasera dai decibel delle assordanti urla dei numerosissimi supporters baschi e dalla suggestiva coreografia corredata dalle loro sciarpe bianco-rosse. L'Old Trafford stasera, e non solo per le migliaia di tifosi approdati dalla Spagna, è sembrata una colonia basca, conquistata con l'ingegno del soave ma costruttivo tiki-taka dell'Athletic che ha stordito la squadra di Ferguson. I 3 gol siglati non sono, come i più maliziosi potrebbero pensare, frutto di omaggi di De Gea, il quale anzi ha scongiurato il tracollo totale. L'ex bimbo-prodigio dell'Atletico Madrid è stato il più reattivo dei suoi concedendosi anche il lusso, dopo i miracolosi interventi compiuti (razionalmente inspiegabile il volo sul destro di Llorente), di sgridare i compagni conquistandosi, seppur solo momentaneamente, quella stessa leadership che solo qualche tempo fa era costretto a sorbirsi dai più esperti e diligenti compagni quando gli rimproveravano gli errori commessi. Chi di leadership e carisma ne ha ormai in abbondanza è Iker Muniain, il cui talento raggiante resta il più bel petalo sul fiore minuziosamente coltivato da Bielsa. Il diciannovenne brevilineo dai piedi fatati non è però l'unico astro di una formazione in grado di travalicare le individualità e di privilegiare la manovra valorizzando ognuno dei 22 piedi scesi in campo all'Old Trafford, in pieno stile fordista. Non è da trascurare nemmeno Llorente, l'emblema del talento, quello puro, sodo e cinico che fa lievitare le statistiche. Fernando è stato qualcosa di molto simile a un incubo per Evans, che proprio non sapeva come frenare l'avvenente centravanti basco che, come Muniain, è destinato a guidare la nazionale spagnola ai prossimi Europei. I baschi hanno deturpato i Red Devils, ancorati unicamente al rigore nel finale di Rooney per sperare in un passaggio del turno davvero poco auspicabile. L'Athletic, stasera, ha scritto la storia, dominando i detentori del titolo inglese e quindi aprendo una nuova, annosa, discussione sulle gerarchie che regolano il calcio europeo. Chi ha ragione? A Marcelo Bielsa poco importa: lui si accontenta di impartirci, tacitamente, autentiche lezioni di vita. L'ultima? Battere campioni milionari e internazionalmente affermati con una squadra fatta esclusivamente di calciatori baschi e costruita con pochi spiccioli. No, non è affatto un demente.
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martedì 6 marzo 2012

Contro pronostici e patriottici: l'Arsenal salva l'orgoglio

Salmodiare sulle difficoltà, le pecche e le assurde utopie coltivate mediaticamente da Szczesny e Wenger è stato lo spot preferito dai milanisti in questi giorni. Nessuno, o quasi, avrebbe scommesso più di un penny sul fatto che la trasferta londinese si potesse rivelare qualcosa di ben più accattivante di un evitabile e costosa scampagnata turistica in terra britannica. Nessuno, tranne forse Allegri, che ha deciso di non lasciare nulla al caso schierando la migliore formazione possibile e mettendo temporaneamente una pietra sopra il suo ostinato difensivismo con uno schieramento sorprendentemente offensivo. Avrebbe costretto l'Arsenal a coprirsi col suo tridente, diceva, piuttosto convinto, in conferenza stampa. In realtà l'arrembante undici di Wenger è sembrato piuttosto apatico alla presenza di El Shaarawy sul terreno di gioco, e ha pensato sostanzialmente a giocarsi le proprie carte, dall'inizio, con l'innocenza e l'irruenza di chi sa di non avere proprio nulla da perdere. La voglia, la rabbia, la grinta: le stesse esatte emozioni raccontate dallo sguardo di Koscielny, quando, con forza, andava a riprendersi il pallone dopo averlo indisturbatamente depositato in rete. Passano solo pochi minuti, e un altro, clamoroso, errore difensivo dei rossoneri concede il gol ai Gunners, che festeggiano con Rosicky, il remake di quello forte e sgusciante del Borussia. Aver aborrito così esageratamente le possibilità dell'Arsenal iniziava ad assumere sempre più la connotazione del preludio di un epilogo apocalittico per i lenti e sbadati calciatori rossoneri. Il tridente allegriano non funziona, l'Arsenal s'infila costantemente nella metà-campo avversaria con le avanzate dei rapidi Walcott e Chamberlain, più di qualcosa sembra preannunciare che lo spettacolo Gunners sia destinato a continuare. Ed infatti continua: le abuliche prestazioni di un annata da sgretolare nel tritacarte dell'oblio avevano prodigiosamente cambiato volto e le chiare lacune accusate da ognuno degli interpreti di Wenger sembravano improvvisamente sparite in un curioso incantesimo di magia in cui lo sconsiderato atteggiamento rossonero avrà avuto sicuramente un peso importante. Sbaglia Emanuelson, sbaglia Nocerino, ma soprattutto sbaglia Mesbah: è l'algerino ad atterrare un funambolico Chamberlain e a costringere lo sloveno Skomina ad indicare il dischetto. Robin, il grande, meraviglioso, Robin, che veniva dalla fantasmagorica doppietta con cui sabato aveva saccheggiato Anfield Road, non può fallire e spiazza elegantemente Abbiati. Il risultato raggiunge una fisionomia preoccupante: è 3-0, con 45 minuti da vivere nella globalità dei sentimenti più disparati. Speranza, per i cuori londinesi, paura, per i tifosi milanisti nelle cui menti già correvano le immagini delle triste vicende di Istanbul e La Coruna, orgoglio, per uno dei maestri dell'ultima decade calcistica, Wenger, per cui miglior modo non ci sarebbe di coronare un'era ormai prossima al termine. L'Arsenal si presenta straripante come all'avvio, ma Van Persie fallisce clamorosamente il colpo del pareggio, graziando Abbiati con un lezioso cucchiaio. E' la fine della dionisiaca estasi emotiva: lapidario giunge l'apporto della ragione che ristabilisce i valori in campo e priva l'Arsenal dell'arrembaggio finale che pregustava. La partita finisce, tra gli applausi di un Emirates finalmente convinto dai suoi giovani rappresentanti, e le poco convinte proteste di Wenger con quartouomo e guardalinee, che prova a esorcizzare la stizza di un'impresa solo sfiorata.
E' la fine dell'esperienza dei Gunners in Champions, e forse il preludio di quella del Milan, che troppi limiti e incertezze ha accusato nell'arco della partita. Forse, è la fine, prematura, delle neonate apologie patriottiche con cui molti già si ringalluzzivano e rivendicavano la supremazia del nostro calcio. Se la forza dominante del calcio italiano ne prende 3 da una delle più opache versioni dell'Arsenal dell'ultimo decennio, evidentemente qualche problema dovrà esserci. 

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lunedì 5 marzo 2012

La resa dei conti

Proprio così, se non è una nemesi storica, poco ci manca. Quella tanto pregustata opportunità di dare uno sfogo verbale alla rabbia, si stava clamorosamente materializzando quando, ieri mattina, ho incontrato il sommo principe della scalmanata cooperativa fedigrafa che ha scritto alcune delle più cupe pagine della storia blucerchiata. Non è Garrone, nè il baldanzoso e demagogo Edoardo, non è lui che ha venduto Cassano e Pazzini nè colui che ha seccamente glissato sulle evidenti lacune con cui la Sampdoria si apprestava ad affrontare la stagione più importante della sua storia recente, quella del Preliminare. Non è lui che ha depauperato la squadra di un'identità di gioco, privilegiando lo scriteriato "palla lunga e pedalare" e raggiungendo risultati miserrimi anche quando le maglie 99 e 10 venivano regolarmente indossate la domenica. E infine no, non è stato lui a mettere la ciliegina sulla torta allestendo uno sconsiderato apparato di scelte tattiche, tecniche e mediatiche e diventando il Paperino della vicenda, il parafulmine su cui si sono riversate la maggior parte delle critiche. Non è Riccardo nè Edoardo Garrone, non Tosi e nemmeno Gasparin, non è Di Carlo nè Cavasin. E' Daniele Dessena. Un ragazzo simpatico, esuberante, gioviale (il sorriso in foto lo testimonia) ma che ha causato la più ampia parte delle numerose bestemmie consumatesi tra Marassi e dintorni. Il kamikaze della gestione tattica e tecnica della partita che ci ha perentoriamente precluso, dagli inizi dello scorso campionato alla pausa invernale di quello in corso, la possibilità di sfruttare le risorse della squadra e di organizzare così trame offensive accettabili. Non ha mai pressato, nè marcato, nè supportato l'asfittico operato del reparto offensivo. E' stato drasticamente nullo, correndo perennemente alla rinfusa e risultando il più completo emblema della Sampdoria che dal gol di Rosenberg aveva rovinosamente perso la bussola e che sembra averla recuperata con il rumoroso repulisti invernale orchestrato da Sensibile. Un ragazzo volenteroso ma chiaramente inadeguato, il cancro tattico che da troppo tempo limitava le prospettive della Sampdoria. Non sarà un caso se proprio mentre Dessena si affacciava ai paradisiaci paesaggi sardi, la Sampdoria riusciva a migliorare sensibilmente le proprie prestazioni. Molto più misterioso è invece il miracoloso rinsavimento calcistico di Dessena col passaggio al Cagliari, che molte occasioni darebbero alle malelingue di fare la propria parte formulando le ipotesi più svariate. Più realistico e rispettoso sarebbe però analizzare il confuso elettrocardiogramma delle sue prestazioni ricorrendo alla sua chiara e naturale attitudine per panorami calcistici molto meno chiassosi e difficoltosi, dove l'atto sportivo e tecnico viene serenamente incentivato, come appunto il tranquillo ambiente cagliaritano. Noi crediamo a questo, preferendo le "sane" paternali tattiche alle meno nobili accuse personali e caratteriali che pioverebbero dalle fiacche e infondate chiacchiere da bar, che ti vorrebbero implicato nel calcio-scommesse.
C'era un po' tutto questo nelle dure ma pacifiche parole, nel forte ma necessario rimprovero, che è seguito alla fotografia che gentilmente mi (ci) hai concesso.
E' andata male, Daniele, ma si è conclusa, forse, nel migliore dei modi e cioè, dando a te la possibilità di rilanciarti e a noi, quella di coltivare il "sogno" Playoff.
Non sarò ipocrita nell'augurarmi che la tua prossima trasferta genovese sarà tartassata dai fischi e dai "buu!", perché la Sampdoria deve essere onorata e ripagata al meglio, e in molti ancora non l'hanno capito.

Potete leggerlo su Sampbook: http://www.sampbook.com/blog/05/03/2012/la-resa-dei-conti/