sabato 4 febbraio 2012

No Palombo no Pary

Si aveva l’impressione che quella di Grosseto potesse essere una partita diversa, lo si percepiva, e non per il look cimiteriale dello Stadio Zecchini nè per il gelo che ha coinvolto tutta l’Italia e anche la ridente cittadina toscana (il termometro recitava -1.5°) bensì essenzialmente per l’assenza di Palombo. Il capitano mancava, e l’assenza del numero 17, di quella figura imponente e pettoruta, abituata, anche tacitamente, sulla base di una mera sudditanza psicologica, a guidare il resto della banda, era limpida, quasi fosse stata voluta dal fato per completare una trama che inquietante lo era già per via dello spettrale proscenio dello Zecchini. La leadership e l’apporto immane d’esperienza e personalità che accompagnava le giocate del numero 17 erano irrimediabilmente andati, con lui, all’Inter. Dopo dieci anni, il binomio Palombo-Sampdoria s’era rotto, e per il libro blucerchiato un altro, intenso, capitolo s’era chiuso. La Sampdoria aveva tolto le rotelle dalla sua bicicletta, lasciato la mano alla mamma, attraversato la strada da sola: in altre parole, era diventata libera.
E in effetti il piglio e il carattere impugnato dai blucerchiati, già dai primi minuti, era quello che si conviene al brio e alla vivacità tipiche del maggiorenne, smanioso di farsi valere. I neo-arrivati Renan e Munari ben hanno incarnato questo spirito e, seppur ben lungi dal top della forma, hanno dato prova con poche ma significative giocate del tipo di prestazione che nè Bentivoglio, nè Palombo, nè Dessena sono riusciti mai a fornire nello scacchiere del 4-3-3. Corsa, pressing, inserimenti. Parole dimenticate, o quasi, prima di oggi pomeriggio. Aldilà dell’impeto dei minuti iniziali, però, per la Sampdoria la vena offensiva era sembrata affievolirsi e la partita iniziava ad acquisire le connotazioni tipiche del trito e ritrito 0-0. A differenza delle ultime uscite però, il reparto arretrato ha assunto un ruolo da comparsa nella commedia, minimamente impegnato dal pachidermico quanto inefficace duo toscano formato da Alfageme e Sforzini, che ben pochi pericoli hanno causato a Romero. I progressi offensivi avuti con gli innesti di Renan e Munari non apparivano sufficienti per la ricerca della tanto agognata rete del vantaggio, e per la Sampdoria appariva imprescindibile aggiungere un pizzico di imprevedibilità che cambiasse lo scenario della trama offensiva, e che quindi trovasse un alternativa all’unica e scontata giocata con cui le azioni blucerchiate si concludevano, il lancio in profondità per Eder. Serviva imprevedibilità, serviva Foggia. Pronta è arrivata allora la sostituzione, a inizio ripresa, che ha fatto largo proprio al talento campano entrato al posto di un opacoJuan Antonio, talentuoso ma ancora non pienamente convincente. A Foggia bastano pochi minuti per destare il leit motiv del match, e incidere con fantasia e qualità in una partita in cui un talento come il suo stona e non poco. Le sue ultime uscite però dimostrano quanto tormentato possa essere il rapporto tra le qualità effettive e quelle mostrate sul terreno di gioco, un confronto estremamente instabile che probabilmente giustifica perchè Foggia fosse a Grosseto e non in uno stadio di serie A. E’ proprio lui a risolvere la partita, con una soluzione geniale che punisce Narcisio e culmina un’ottima azione partita dal destro di Obiang e scandita dall’elegante tacco di Pozzi. E’ il gol che decide la partita: non corona una partita brillante o congrua ai presupposti tecnici della squadra, ma accompagna una serie di segnali positivi che iniziano ad emergere e che maturano un ottimismo timido ma giustificato per l’approdo alla zona-Playoff, distante ma non irraggiungibile. Uno di questi è il centrocampo, finalmente tonico e dinamico. Mi dispiace Palombo, ma era necessario.

Potete leggerlo su Sampbook: http://www.sampbook.com/blog/04/02/2012/no-palombo-no-pary/

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