sabato 25 febbraio 2012

Loftus Road+Espulsione=Sconfitta

Non cambia l'equazione che tanto ha fatto penare tifosi e giocatori della squadra dei guardiani del parco della regina: anche oggi a Loftus Road, i Rangers hanno giocato per più di metà partita in dieci e sono usciti senza alcun punto in tasca. Di fronte c'era il Fulham, un avversario che non faceva troppa paura all'altisonante collettivo diretto da Hughes se non per la sciagurata sconfitta subita nel girone d'andata per 6-0. I motivi per sperare che questo West London Derby sarebbe finito diversamente rispetto al precedente erano numerosi, innanzi tutto i Rangers hanno completamente rigenerato il proprio assetto col mercato di gennaio e hanno disposto di sufficiente tempo per organizzare dignitosamente quello che sulla carta appare un gruppo dalle potenzialità ben più ambiziose di quanto non dica la classifica. Inoltre, pensare che caratterialmente la squadra avesse metabolizzato le sciagure del passato sarebbe stato più che lecito. La lezione su quanto possa essere difficile giocare con un uomo in meno sembrava infatti ormai acquisita dopo che, prima contro il Norwich e poi contro il Wolverhampton, i Rangers erano finiti in 10 e avevano gettato i 3 punti alle ortiche. E invece ci si sbagliava. A dirigersi verso gli spogliatoi anzi tempo questa volta non è stato Barton, bensì il volenteroso Diakitè, all'esordio coi Superhoops, a cui evidentemente avranno oltremodo enfatizzato la clemenza degli arbitri rispondendogli alla domanda riguardo al tipo di calcio a cui andava in contro. Ed infatti alle buone giocate in cabina di regia, il maliano ha abbinato una serie di scriteriati tackle che hanno naturalmente convinto Dowd ad estrarre due volte il cartellino giallo. Da lì in poi è stato il solito arrembante film d'avventura con i Rangers pronti a rimontare il gol siglato all'avvio da Pogrebnyak con grande abnegazione e forza di volontà ma non altrettanto fosforo e raziocinio. Solamente la scarsa convinzione di Jol che ha preferito custodire il risicato vantaggio piuttosto che punire gli Hoops sfruttando gli ampi spazi concessi ai Cottagers, ha fatto sì che la partita finisse 0-1. Non è bastata l'ennesima scintillante prestazione di Taarabt, a cui ancora una volta è mancato solo il gol per coronare concretamente la propria performance. Per il QPR si profila allora una situazione di estrema difficoltà: la classifica li vede tristemente appaiati in fondo alla terz'ultima posizione con il Blackburn. Il sogno Premier League potrebbe esser già finito.

sabato 18 febbraio 2012

Tanta sofferenza ma arriva la vittoria: il Forest si rialza

Che per il Nottingham Forest si sarebbe configurata una così serena situazione, i numerosissimi tifosi della squadra che Brian Clough rese celebre nel mondo difficilmente avrebbero potuto dirlo una settimana fa, quando anzi per il Forest sembrava prefiggersi l'Apocalisse. Sia chiaro, la vittoria di oggi non garantisce nulla ai Tricky Trees, che dovranno comunque soffrire e lottare fino alla fine per raggiungere un risultato, quello della salvezza, per cui mai avrebbero pensato di lottare in estate, convinti, piuttosto, di avere serie chance per ottenere la lungamente agognata promozione. Solo una settimana fa la matematica sembrava decisamente avversa al glorioso club delle East Midlands, con un parziale di ben 6 punti di ritardo rispetto ai Robins, oggi ufficialmente inghiottiti nella lotta per non retrocedere per effetto della dolorosa sconfitta patita a Peterborough (3-0). A cambiare le carte in tavola è stata la seconda penalizzazione in tre anni per il Portsmouth che torna in amministrazione controllata e crolla rovinosamente in classifica: i Pompeys, adesso, con 25 punti sono al terz'ultimo posto. Una dolce boccata d'aria fresca per il Forest dunque, che con il tesissimo successo sul Coventry si porta a un poco affidabile +1 dalla zona calda. In realtà Lee Camp ha corso più di un pericolo e sulle schiene dei delusi tifosi del City Ground sono corsi non pochi brividi quando il farraginoso attacco del Coventry, orchestrato dal pachidermico Platt e il fumoso Nimely, riusciva a disegnare trame interessanti. Altrettanto palpitanti saranno stati quando l'irlandese Murphy aveva prodigiosamente scongiurato i tentativi a rete della squadra di casa, intervenendo con una tale precisione da rendere ancor più vivida, per i più pessimisti tra i tifosi del Forest, la prospettiva di un disegno divino avverso. Alla fine però la considerevole tensione accumulata non solo in questa partita, ma in tutto l'arco di un campionato assai deludente, è stata polverizzata dallo scintillante coast-to-coast con cui McCleary si è portato a limite dell'area di rigore e ha trafitto magistralmente Joo Murphy. Un gol di importanza capitale per il 25enne, a cui Cotterill concede la standing-ovation più per convenienza tattica che per piacere personale, inserendo il più difensivo e roccioso Greening, un reduce del leggendario trionfo del Fulham a Craven Cottage sulla Juventus. Il gol del raddoppio è il giusto premio per Robbie Findley, sempre sgusciante e volenteroso, che non manca l'appuntamento col chirurgico lancio di Reid. E' la rete che pone la parola 'fine' sul match e probabilmente archivia la retrocessione del Coventry City che, tra l'altro, è tra le poche squadre nella zona bassa a non dover recuperare partite. Decisamente più lucente è invece l'orizzonte per il Nottingham Forest, per il quale la salvezza dev'essere un onere più che una conquista, un obbligo morale determinato dall'onorevole background di tradizioni, leggende e successi che fa dei Tricky Trees uno dei team più gloriosi del panorama calcistico britannico. Ecco perchè oggi, non me ne vogliano i (pochi) sostenitori del Coventry City, a godere e a gioire non sono stati solamente i tifosi di casa, ma tutti gli amanti e i sostenitori del calcio british, che incrociano le dita per evitare quella che sarebbe una disastrosa oltreché inaspettata retrocessione in League One.
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lunedì 13 febbraio 2012

Hervè Renard- Il successo di un sogno

L'avvenente signore in foto non è il nuovo volto di Dolce & Gabbana nè la nuova rockstar destinata a spodestare Justin Bieber nel cuore delle teenager. Sembra strano, ma non è nemmeno il nuovo tronista lanciato da Uomini e Donne. Non è per il suo aspetto fisico, comunque sufficientemente celebrato dalla peculiare attenzione mediatica nel captare ogni minimo movimento del suo ciuffo ballerino, che quest'uomo è diventato famoso. No, Herve Renard, ct dello Zambia, deve la sua improvvisa notorietà a ben altri criteri, a partire dal folle idealismo nello scommettere sul misero (tecnicamente quanto economicamente) progetto zambiese, sino allo sconcertante successo guadagnato sul campo coronato con il meno auspicabile degli epiloghi, e cioè con la vittoria finale. Un trofeo, quello della Coppa d'Africa 2012, vinto proprio in quella Libreville che quasi 20 anni fa ospitò una delle più grandi tragedie della storia dello Zambia: il disastro aereo che privò la nazione africana del più vincente e ambizioso ciclo calcistico della sua storia. Inevitabile il pensiero e la dedica a quei caduti, a cui nemmeno Renard s'è sottratto, cingendosi alla gioia del popolo zambiese e non cogliendo l'occasione per discutibili spot autoapologetici nè mostrandosi mentalmente proiettato per il tipo di svolta che la sua giovane carriera da allenatore meriterebbe. No, anzi Renard ha gioito, come un bambino, proprio con quegli scalmanati ragazzi su cui nessuno avrebbe scommesso un penny ma in cui ha voluto credere, plasmando un risultato ai limiti dell'impossibile. Ha gioito, dimenticando per un attimo l'invidiabile charme che aveva coperto la sua misteriosa figura nell'arco della Coppa d'Africa, correndo festante proprio come i suoi quasi coetanei giocatori (Renard è poco più che quarantenne) e regalandoci il momento più pregno del significato di questo sport, quello in cui prende in braccio e porta in trionfo Musonda, il difensore uscito anzitempo dal campo per un problema fisico talmente grave da costringerlo alle stampelle. Questo è Herve Renard, un uomo sconosciuto o quasi, che ieri ha scritto la storia fornendoci uno dei più corretti e moralmente profondi esempi di miracolo sportivo. La vittoria dello Zambia sembra ricordarci prontamente quanto irrisoria sia l'importanza dei giudizi, dei pronostici e delle scommesse alla vigilia e fin dove possa portare l'impegno e la dedizione, quanto sia necessario dare sempre il 100%, proprio come Renard ripeteva costantemente ai suoi ragazzi. Impossible is nothing, l'hanno dimostrato i calciatori zambiesi onorando lo slogan della Nike, troppo spesso confuso come una fruttuosa trovata pubblicitaria votata unicamente alla vanità della retorica. No, non è così, e questo signore ce l'ha insegnato.
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domenica 12 febbraio 2012

La felicità non costa niente

Avranno sgranato gli occhi, spontaneamente sbalorditi, i soliti assidui frequentatori da bar, quando stamattina, impugnando la tazza di caffè in una mano e il foglio dei palinsesti nell'altra, assorti nello stilare la consueta scommessa domenicale, si sono imbattuti nella doppia cifra relativa alla quota della vittoria del Novara a Milano contro l'Inter. Dipende dalle agenzie, ma orientativamente il valore oscillava tra un 9,50 e un 15. Poco importa, quel che è certo è che qualunque caso si analizzi la quota era vertiginosa, ma la temeraria prospettiva di puntarci qualche euro sarà stata prontamente stroncata dalla ragione, irremovibile nella sua sicurezza del pessimo stato di forma della squadra piemontese. E in effetti i ragazzi di Mondonico venivano da un periodo tutt'altro che felice: le ultime sconfitte subite sembravano avvalorare la tesi di chi li avrebbe condannati a una retrocessione ormai ipotecata.
Ecco perché dopo il naturale stupore dell'impatto con la quota, gli scommettitori avranno convenuto consapevolmente col valore proposto dai bookmakers e vagheggiato la sensazione che quella di San Siro sarebbe stata la partita perfetta per l'Inter per risollevarsi da un periodo negativo e per il Novara per salutare definitivamente la serie A e smarrire ogni speranza di salvezza. Per fortuna però, il calcio riesce soavemente a svegliarci da questo così cupo meccanicismo smontando anche la più acquisita delle certezze. E così il fantastico tiro con cui Caracciolo guida i compagni alla vittoria diventa il capitolo più bello di un campionato troppo spesso arginato entro i limiti del pronostico ma che oggi s'è finalmente lasciato andare, travolto da un'improvvisa quanto piacevole ondata di calcio genuino. Genuino proprio come lo schema di estremo catenaccio con cui Mondonico dispone i suoi ragazzi, riuscendo a spremere il massimo da ognuno dei loro modesti repertori. Ad onor del vero, il Novara non ha avuto un atteggiamento totalmente rinunciatario ma anzi, ha saputo costruirsi interessanti opportunità, sfruttando gli esiti fallimentari delle fiacche offensive interiste. Al gol di Caracciolo è seguita una strenua difesa del reparto arretrato, che dal 56' ha concesso ben poche palle-gol allo sgangherato attacco interista. Intenso sarà stato invece il finale per gli elettrocardiogrammi dei tifosi piemontesi, che hanno temuto per le proprie sorti con la traversa colpita da Sneijder ma soprattutto allo scadere, quando Pazzini ha clamorosamente colpito Ujkani a pochi passi dalla sua porta. E' però il triplice fischio di Russo a porre fine alle loro sofferenze e a chiudere una partita di assoluta goduria per gli animi dei tifosi novaresi, delusi, sicuramente, dall'andamento della propria squadra in campionato ma anche straordinariamente gaudenti per una vittoria che rischia di non mutare il destino del Novara ma che scrive un capitolo estremamente onorevole per la storia della propria squadra. Diametralmente opposto è invece il sentimento degli sconfitti nerazzurri, più avanti in classifica, più prosperi nel loro stracolmo palmares ma anche incredibilmente decisi nel chiedere la testa di chi solo due anni fa li aveva condotti nella gloriosa impresa del triplete. Probabilmente, anche se non lo sanno, pagherebbero oro per vivere solo un attimo della sconfinata gioia dei tifosi novaresi, che non hanno Champions League nè calciatori famosi ma che godono, in un modo che nessuno dei tifosi delle cosiddette "grandi" potrebbe mai immaginare. 

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sabato 11 febbraio 2012

Pozzi affossa il tabù Marassi


L'Albinoleffe si conferma qualcosa di molto simile a un capote (il mantello rosso sventolato dai toreri) per la Sampdoria, e non solo per la divisa scarlatta esibita quest'oggi a Marassi. Anche lo scorso confronto con i bergamaschi sorrise ai blucerchiati: era il 24 settembre, e quei 3 gol messi a segno sembravano preannunciare una stagione altisonante fino alla successiva debacle col Torino, il vero collante verso la deprimente e deficitaria fase che ha drasticamente rallentato la Sampdoria. La Sampdoria scesa in campo a Marassi, pur con un complesso di effettivi radicalmente snaturato rispetto ad allora, ha effettivamente proposto argomenti tecnici molto simili a quelli che sottesero lo spumeggiante 1-3 della trasferta bergamasca e che si son mostrati un elegante antidoto al sempre più preoccupante tabù-Marassi.

Infondate le preoccupazioni di chi temeva per l'assenza di Eder: la straordinaria presenza offensiva del centrocampo ha infatti agevolato la prestazione di Bertani, mortifero nelle sue progressioni palla al piede. Nemmeno Juan Antonio ha deluso, anche se la scioccante scelta di Iachini di preferirlo al deus ex machina dell'ultima trasferta sembrava offrire validi incentivi per le critiche dei mai domi detrattori. Invece l'argentino ha garantito un'ottima prestazione, limitando le eccedenze e anzi, confermando l'interessante tecnica di base di cui gode. Insomma, non esattamente giustificata l'opinione di chi frettolosamente l'aveva definito "scarto del Brescia", forse preso dalla popolare e diffusa abitudine nel criticare a priori l'operato di Sensibile. Ha assunto un buon ritmo, partecipando attivamente alle numerose trame orchestrate nella prima frazione di gioco, prima di perdere smalto e lasciare giustamente il campo a Foggia. Fuori il più costante, dentro il più estroso: bisognerebbe abituarsi presto perchè pare essere questa l'equazione destinata a dominare le prossime uscite della Sampdoria. E l'ingresso in campo di Foggia ha infatti dato ossigeno al collettivo blucerchiato, incapace di ipotecare la vittoria. Nemmeno il folletto campano ha però permesso alla Sampdoria di andare oltre l'1-0, un ottimo Offredi e un pizzico di sfortuna hanno scongiurato le conclusioni a rete di Bertani e Pozzi. A Marassi iniziavano quindi ad aleggiare la naturale paura e il pessimismo di chi si crede ragionevolmente perseguitato dalla sfortuna ma il riflesso felino di Romero sull'insidioso tiro-cross di Regonesi e il clamoroso errore di Cocco a limite dell'area di rigore suscitano un interminabile sospiro di sollievo tra gli spettatori del Ferraris e spianano alla Samp la strada verso la vittoria. E' la mini-rissa scoppiata a fine gara l'epilogo di una gara estremamente soddisfacente per gli animi blucerchiati, più per le proporzioni tecniche che numeriche del successo, ma anche molto importante: non risica il divario verso il Varese ma mantiene saldamente la Sampdoria nel treno per la sesta piazza, in una giornata in cui tutte le pretendenti hanno portato a casa i 3 punti.

A muovere le corde vocali nel liberatorio urlo lanciato a fine gara non è solo l'emozione di una gara finalmente vittoriosa ma anche la consapevole certezza di aver trovato un degno equilibrio con le operazioni invernali. Il pressing e la verve agonistica di Munari e Renan esaudiscono non solo le unanimi richieste di più voglia, coraggio e attaccamento alla maglia, pronunciate dai tifosi ma colmano anche le evidenti lacune accusate dal reparto nevralgico. Gli elogi per il paulista ex Cluj non finiscono qui: benchè lo smalto e la freschezza tecnica siano risultati per cui l'ambientamento richiede ancora qualche tempo, le sue giocate iniziano già ad incidere positivamente come testimoniano i numerosi tentativi a rete derivati da altrettanti calci d'angolo partiti proprio dalla magia del suo sinistro. Sopra la sufficienza anche l'ungherese Laczko, che infittisce i misteri circa il suo mancato utilizzo in passato a favore dei più imprecisi Costa e Castellini. Per chiudere, da parte mia, una sincera adesione alla petizione che sta riscuotendo risultati quasi plebiscitari per vedere Icardi in prima squadra: l'argentino sta facendo faville nel Torneo di Viareggio, ed è bene approfittarne soprattutto ora che Pellè è fermo ai box per infortunio.

Potete leggerlo anche su Sampbook: http://www.sampbook.com/blog/11/02/2012/pozzi-affossa-il-tabu-marassi/

lunedì 6 febbraio 2012

Tra Madonna, Manning e Brady: Il XVLI Superbowl

No, non aspettatevi remore sulla difesa dei Patriots nè accurate e approfondite disamine tattiche dello spettacolo, quello sul campo, di ieri notte. Non è nelle mie corde e sento di potermi accomunare con molti di coloro i quali ieri notte hanno sfidato il sonno e assistito in dormiveglia al Superbowl pronunciando la mia più totale profanità in materia e dicendo che il mio primo contatto con questo sport si è consumato proprio tra gli spintoni, le botte e i touchdown di Patriots vs Giants. A fiondarmi davanti al televisore sono state le suggestioni di chi era stato stregato dalla faraonica pubblicità dell'evento, filtrata anche tra gli strampalati media italiani, e affascinato dalle scene di film o serie tv a stelle e strisce che raccontavano quanto fosse importante per il popolo statunitense il Superbowl. Un valore che, non me ne vogliano i seguaci del football americano, prescinde dall'endemico spettacolo inscenato dai protagonisti in campo (anch'esso superlativo, sia chiaro), ma che fissa il suo perno nella sovrastruttura generale di esuberanti spot pubblicitari, coreografie altisonanti e soprattutto nel concerto dell'intervallo. Insomma, il festival della cultura statunitense e del peculiare modo di svagarsi e divertirsi oltreoceano, troppo spesso sprezzantemente etichettato come "americanata". Un'occasione per dimenticare i problemi e abbandonarsi spensieratamente al diletto di una serata passata con gli amici a mangiare pollo fritto, a sorseggiare birra e a contemplare le esaltanti gesta dei protagonisti del Superbowl. Ieri sera, il copione è stato sicuramente all'altezza delle aspettative: è il touchdown di Bradshow a 57 secondi dal termine a decidere il confronto tra le due stelle più lucenti dello sport, Brady (Patriots) e Manning (Giants), e a sancire la vittoria degli yankee in maglia bianca. Un epilogo sensazionale a una serata assolutamente memorabile, scandita anche dai costosissimi spazi pubblicitari riservati ai film (The Avengers, Battleship, John Carter e Lorax) ma anche all'italianissimo spot della 500 Abarth. Il culmine, non solo cronologico, della serata è stato però il lasso di 13 minuti tra primo e secondo tempo in cui Madonna ha presentato la sua nuova canzone, Me all your Luvin, con Mia e Nicky Minaj e esibito altri suoi successi con altre star del panorama musicale mondiale come Cee Lo Green e LMFAO. I commenti degli extra-americani a riguardo pullulano di puritanesimo e scetticismo, e probabilmente le loro critiche sono più che fondate. Il superbowl è lo sperpero esasperato ed ingiustificato di (milioni di) dollari, il divismo al limite della follia e l'adesione quasi ipnotica all'appariscenza... si, ok, quello che volete, ma alzi la mano chi non si è divertito ieri sera.
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sabato 4 febbraio 2012

No Palombo no Pary

Si aveva l’impressione che quella di Grosseto potesse essere una partita diversa, lo si percepiva, e non per il look cimiteriale dello Stadio Zecchini nè per il gelo che ha coinvolto tutta l’Italia e anche la ridente cittadina toscana (il termometro recitava -1.5°) bensì essenzialmente per l’assenza di Palombo. Il capitano mancava, e l’assenza del numero 17, di quella figura imponente e pettoruta, abituata, anche tacitamente, sulla base di una mera sudditanza psicologica, a guidare il resto della banda, era limpida, quasi fosse stata voluta dal fato per completare una trama che inquietante lo era già per via dello spettrale proscenio dello Zecchini. La leadership e l’apporto immane d’esperienza e personalità che accompagnava le giocate del numero 17 erano irrimediabilmente andati, con lui, all’Inter. Dopo dieci anni, il binomio Palombo-Sampdoria s’era rotto, e per il libro blucerchiato un altro, intenso, capitolo s’era chiuso. La Sampdoria aveva tolto le rotelle dalla sua bicicletta, lasciato la mano alla mamma, attraversato la strada da sola: in altre parole, era diventata libera.
E in effetti il piglio e il carattere impugnato dai blucerchiati, già dai primi minuti, era quello che si conviene al brio e alla vivacità tipiche del maggiorenne, smanioso di farsi valere. I neo-arrivati Renan e Munari ben hanno incarnato questo spirito e, seppur ben lungi dal top della forma, hanno dato prova con poche ma significative giocate del tipo di prestazione che nè Bentivoglio, nè Palombo, nè Dessena sono riusciti mai a fornire nello scacchiere del 4-3-3. Corsa, pressing, inserimenti. Parole dimenticate, o quasi, prima di oggi pomeriggio. Aldilà dell’impeto dei minuti iniziali, però, per la Sampdoria la vena offensiva era sembrata affievolirsi e la partita iniziava ad acquisire le connotazioni tipiche del trito e ritrito 0-0. A differenza delle ultime uscite però, il reparto arretrato ha assunto un ruolo da comparsa nella commedia, minimamente impegnato dal pachidermico quanto inefficace duo toscano formato da Alfageme e Sforzini, che ben pochi pericoli hanno causato a Romero. I progressi offensivi avuti con gli innesti di Renan e Munari non apparivano sufficienti per la ricerca della tanto agognata rete del vantaggio, e per la Sampdoria appariva imprescindibile aggiungere un pizzico di imprevedibilità che cambiasse lo scenario della trama offensiva, e che quindi trovasse un alternativa all’unica e scontata giocata con cui le azioni blucerchiate si concludevano, il lancio in profondità per Eder. Serviva imprevedibilità, serviva Foggia. Pronta è arrivata allora la sostituzione, a inizio ripresa, che ha fatto largo proprio al talento campano entrato al posto di un opacoJuan Antonio, talentuoso ma ancora non pienamente convincente. A Foggia bastano pochi minuti per destare il leit motiv del match, e incidere con fantasia e qualità in una partita in cui un talento come il suo stona e non poco. Le sue ultime uscite però dimostrano quanto tormentato possa essere il rapporto tra le qualità effettive e quelle mostrate sul terreno di gioco, un confronto estremamente instabile che probabilmente giustifica perchè Foggia fosse a Grosseto e non in uno stadio di serie A. E’ proprio lui a risolvere la partita, con una soluzione geniale che punisce Narcisio e culmina un’ottima azione partita dal destro di Obiang e scandita dall’elegante tacco di Pozzi. E’ il gol che decide la partita: non corona una partita brillante o congrua ai presupposti tecnici della squadra, ma accompagna una serie di segnali positivi che iniziano ad emergere e che maturano un ottimismo timido ma giustificato per l’approdo alla zona-Playoff, distante ma non irraggiungibile. Uno di questi è il centrocampo, finalmente tonico e dinamico. Mi dispiace Palombo, ma era necessario.

Potete leggerlo su Sampbook: http://www.sampbook.com/blog/04/02/2012/no-palombo-no-pary/

giovedì 2 febbraio 2012

Sognando Cissè- l'esordio con gol del francese

"Al derby farà 5 gol", "Con lui sarà Champions come minimo". Sono solo alcune delle entusiastiche esternazioni che avreste potuto sentire ad inizio anno, quando il pubblico biancoceleste era letteralmente in visibilio per l'arrivo di Cissè. Le premesse però, per una serie di ragioni, non hanno avuto riscontri nella tormentata esperienza italiana di Cissè, che di gioie ne ha regalate ben poche al popolo biancoceleste. Il gol all'esordio a San Siro, dopodichè la solita storia: i problemi tattici, le difficoltà d'inserimento negli angusti spazi del calcio italiano, e un'altro gol, sempre a San Siro, sempre contro il Milan e sempre nella stessa porta, quasi a scusarsi per non essere stato all'altezza delle aspettative. Il gol, quello dell'addio, poi un biglietto aereo destinazione Londra pregno di sogni e speranze, le stesse che aveva quando i numerosi supporters laziali erano venuti ad accoglierlo a Fiumicino, estasiati dal suo stile eccentrico e spregiudicato, con l'enfasi di chi è convinto di abbracciare un fenomeno. A Loftus Road, il tempio del QPR, Cissè sembra vedere un film già visto: nuovi tifosi ma stesso straordinario entusiasmo al suo arrivo. Per i Rangers, l'acquisto di Cissè aveva tutta l'aria di essere un'ottima ciliegina sulla torta per lo splendido mercato orchestrato da Hughes e dal portafogli del miliardario proprietario Fernandes, ma soprattutto la definitiva risoluzione del rebus-attaccante che non poteva, ragionevolmente, ritenersi soddisfatto con l'acquisto di Macheda, per il quale si prospetta adesso un malinconico via-vai tra tribuna e panchina, complice anche l'acquisto lastminute di Bobby Zamora. Il tempo di fare le visite mediche e via, subito in campo, al Villa Park, in una delle 16 finali che sanciranno il destino del QPR. In campo anche altri dei sensazionali colpi del mercato di gennaio, Taiwo e Onouha, che vanno a colmare le evidenti lacune difensive e a costituire insieme al blocco iniziale, quello dei Faurlin, dei Taarabt, dei Kenny e dei Barton, una squadra che con più tempo a disposizione avrebbe probabilmente potuto aspirare ad obiettivi ben più ambiziosi della mera permanenza in Premier League. A Cissè bastano pochi minuti per rivelarsi un autentico incubo per Warnock che proprio non riesce a contenere il suo straripante atletismo e che coronerà una pessima prestazione, l'ennesima di una stagione poco positiva, col goffo autogol dello 0-2. Ma il motivo per cui Cissè ricorderà questa partita è un altro: al 10' si smarca sulla destra, coglie il pallone vagante e lo uncina col destro pietrificando Given e insaccando sul secondo palo. Indubbiamente il modo migliore per ripresentarsi al calcio inglese. Un mondo che gli era mancato, che l'aveva consacrato (in maglia Liverpool) e che sentiva suo, per atmosfera, tifo ma soprattutto per la velocità, la rapidità del gioco: qualità che esaltano particolarmente il suo repertorio, frenato dall'eccessivo tatticismo italiano. Un gol importante, che non guida i SuperHoops alla vittoria (le reti di Bent e N'Zogbia fissano il punteggio sul 2-2) e che probabilmente lascia un retrogusto amaro nei traboccanti d'entusiasmo stati d'animo laziali (vittoriosi nell'altisonante confronto col Milan di ieri sera), quello di chi sa di aver mancato un occasione, di chi aveva creduto di poter sognare e gioire con le capriole di Cissè, l'eccentrico e spregiudicato Cissè che quel giorno, a Fiumicino, li aveva stregati.
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